(ovvero quando non sapevo cos’era un editore)
Quando ero piccolo, mi lavavo poco, non avevo incisivi e le mie ginocchia si raschiavano sull’asfalto almeno ogni due giorni. Quando ero piccolo un giorno volevo fare il calciatore e un giorno volevo fare lo scrittore. Quando c’era la Coppa Davis in televisione e il Roland Garros, allora volevo fare il tennista. Quando c’era Rocky in tv, volevo fare il telecronista del pugilato. Pugile mai.
Di solito però calciatore o scrittore. Calciatore perché non c’è niente che mi dia più soddisfazione, anche ora, che dare calci a un pallone. Anche se il pallone non va proprio dove voglio io. Anche se scappa. Anche se lo devi inseguire come un disperato. Perché non c’è niente di più cattivo di un pallone quando gli corri appresso. Poi scrittore, perché si faticava poco, pensavo. A leggere faticavo poco. A scrivere ancora meno. Quando dovevamo fare il tema in classe per me era come un giorno di vacanza. Non portavo lo zaino, solo una penna. Mettevo in tasca la penna e uscivo di casa con lo stesso spirito di uno che fa una scampagnata: sorridente, rilassato. Sempre che il giorno della tua scampagnata non si mette a piovere. Allora di sicuro non ti rilassi così tanto. Ma io anche se dovevo fare il tema in classe in un giorno di pioggia ero sorridente e rilassato.
Crescendo, il pallone è diventato sempre più cattivo mentre la penna se ne restava ferma e immobile sulla scrivania o dentro la mia tasca. L’importante è non dimenticarsi la penna in tasca per troppo tempo. Altrimenti quella inizia a sputare inchiostro e ti macchia i pantaloni. Quindi scrivevo tanto per non dare alla penna la possibilità di sputarmi addosso il suo inchiostro. E il pallone andava sempre più lontano, più in alto, più forte.
E vabè, alla fine uno scrive e pensa a raccontare qualcosa. All’inizio non mi mettevo neppure il problema di raccontare una cosa interessante. Bastava che fosse qualcosa. Poi ho pensato che forse se quello che scrivevo fosse stato una cosa interessante, sarebbe stato meglio. E allora, siccome in quel periodo mi piaceva molto il film Il buono, il brutto e il cattivo, per me le storie interessanti erano storie western di cowboy, cavalli e indiani. In quelle storie per me c’era tutto. E allora scrivevo solo storie western. Dei polpettoni pieni di ferrovie in costruzione, case di legno, praterie e pistole. A un certo punto arrivava il cattivo, che nella mia testa era uguale a Pietro Spunzone. Pietro Spunzone era il cattivo della mia classe, cioè faceva dispetti e prendeva in giro. Era più alto e più grasso degli altri. Alle elementari questo basta per essere cattivo. Adesso Pietro Spunzone è impiegato in una banca. Lavora e gioca a calcetto, è un bravo ragazzo ed è pure dimagrito. Non che dimagrire c’entri qualcosa col fatto di essere un bravo ragazzo.
E vabè Pietro Spunzone arrivava in città e sfidava lo sceriffo. Lo sceriffo era uguale a me. Cioè aveva le ginocchia sbucciate, i pantaloncini Adidas gialli e un buco nero al posto degli incisivi. Si arrivava al momento del gran duello e alla fine il cattivo ci restava secco mentre i cittadini portavano in trionfo lo sceriffo. La bella sorrideva allo sceriffo e tutti sparavano in aria. La bella era uguale a Lucia Berio, secondo banco a destra, cocca della maestra, profumo di rosa. Nella mia classe era l’unica che non puzzava di sudore o di patatine o di frittella. Chissà che combina Lucia Berio.
Ho continuato a scrivere western finché non ho letto un libricino che si intitola Grog il castoro, e parla di un castoro che fa un sacco di cose e la spunta sempre lui. Allora ho iniziato a scrivere storie che avevano per protagonisti solo animali e lunghi fiumi impetuosi e, spesso, castori invincibili che salvano esseri umani e parlano. Questi animali dicevano solo cose sagge.
E dopo gli animali sono arrivati i mostri e poi gli investigatori e poi gli antichi romani egiziani assiri babilonesi e chi più ne ha più ne metta fino ad adesso.
Adesso non so ancora chi sono ma scrivere mi viene sempre facile. Adesso, a volte, penso ad un tipo che cammina nel corridoio della sua casa grattandosi la pancia, entra in bagno, prende un mio libro dal cesto delle riviste in bagno, si siede a cagare e legge. Se da piccolo mi fosse venuta in mente un’immagine del genere, probabilmente, non avrei scritto. Meno male che non m’è venuta in mente. Meno male che l’ho pensato solo adesso. Meno male. Anche perché adesso penso che quello lì è anche il mio lettore ideale. Perché mi legge, semplicemente.
10 Comments
Ad ognuno il suo Pietro Spunzone…
Stesso immaginario. Mi chiedo cosa ricorderanno gli adolescenti di oggi? Playstation e pippe davanti al computer?
La mia vita è una Spunzoneide… 🙂
Stessi ricordi sul tema in classe di Italiano: i compagni cagati sotto e con le borse zavorrate da una tonnellata di vocabolario, io leggero e felice con la mia bic nera, così felice da sentirmene quasi in colpa…
editore ideale, che sta anche per lettore ideale
anche io ho un debole per la bic nera
Io ho un debole per tutte le Lucia Berio di questo mondo e per il pugilato. Io l’avrei fatto, però, non l’avrei solo commentato.
Io sono molto d’accordo con la parte del pallone, quella all’inizio.
Alla faccia dell’editoriale!
Io da bambino non giocavo a pallone, giravo con la fionda in tasca e organizzavo degli agguati alle bande dei diversi quartieri della città.
Spesso tornavo a casa con gli occhi gonfi, oltre che con le ginocchia sbucciate.
Non ho mai scritto niente però mi piace la cosa dei film western. Ho sempre voluto essere come James Coburn in “Giù la testa”.
Va che alla fine quelli della NEO. hanno sempre ragione. Altro che cosetta.
Comunque, sì, era così bello fare i temi in classe.
Il pallone è sempre più veloce, sfugge, è a toppe nere e bianche, ne ho avuto uno di pelle e mai mi è piaciuto come quando si è sbucciato e poco ci mancava che venisse fuori la camera d’aria, cosa peraltro poi avvenuta,e una volta ho posseduto un paio di Kronos rosse
ciao Già chissà che si riesca a fare una nuova partita, non ho un gran talento ma faccio tanti goals e mi piace