Nella mia vita ho fatto veramente tanti lavori. Ho scritto per un quotidiano che adesso non esiste più, ho lavorato in un negozio di dischi (che non esiste più neanche lui) e poi per una cooperativa sociale e negli ultimi quattro anni mi sono messo a insegnare. Non lo ammetterò mai perché sono un tipo a cui piace lamentarsi, ma io sono una persona che è sempre stata assistita da una buona dose di culo e il lavoro non mi è mai mancato, neppure nel 2017, quando sono tornato a vivere in Italia dopo un soggiorno di due anni in Germania. Non sapevo bene che cacchio fare, allora mi sono iscritto di nuovo all’Università, ho tenuto dei corsi di scrittura creativa in carcere e ho cominciato a insegnare come supplente nelle scuole statali. Due mesi nel 2017-2018, nove mesi nel 2018-2019, e nel 2019-2020 l’intero anno scolastico in un liceo paritario che lo scorso settembre mi ha proposto di diventare coordinatore didattico. Ora, a parte che quello del coordinatore didattico è un incarico dove ti devi fare un discreto mazzo, devo anche riconoscere che è un lavoro che ha anche dei lati positivi. Per esempio quello di incontrare altri coordinatori didattici, altri insegnanti, insomma altri stronzi che lavorano nella scuola e con cui puoi confrontarti. Ci si vede (telematicamente) quando i distributori ti convocano per presentare un nuovo libro di testo, oppure ai webinair dove qualche sconosciuto appartenente a qualche ufficio sepolto sotto la neve della Mongolia ti illustra la nuova organizzazione di quell’assurdità delle prove Invalsi, e anche alle riunioni (sempre telematiche) con il responsabile dell’Ufficio Scolastico Regionale.
Io di solito funziono quando sono inserito in un contesto che detesto.
Voglio dire, a me la scuola fa veramente schifo, la scuola così com’è intendo, con i colleghi che godono a stangare un ragazzo, con i registri elettronici che ti danno la possibilità di assegnare un due meno o un tre e mezzo… Devi essere un cazzo di superesperto, devi avere un calibro al posto del cervello per dire al tizio che hai davanti: sei preparato da tre e mezzo… Mi fa talmente tanto schifo la scuola, mi danno così fastidio gli insegnanti, che io funziono alla grande, perché attorno a me ci sono un sacco di modelli a cui non voglio assolutamente ispirarmi, o per meglio dire mi ci ispiro per comportarmi esattamente al contrario.
Volevo parlare di questo?
Non volevo parlare di questo.
In realtà volevo parlare di quello che mi è successo l’altro giorno, quando mi sono imbattuto in un mio collega della scuola statale conosciuto durante la supplenza di nove mesi al liceo delle scienze umane della mia città, un professorone (anche lui di Lingua e Letteratura Italiana) che nel corso di un collegio docenti pronunciò la fatidica frase che ancora mi rimbomba nella zucca: la scuola, disse ’sto demente, o è selettiva oppure non è.
Smontare questa cazzata è facile come picchiare un bimbo seduto sul vasino, più difficile è capire il motivo per cui, quando ci siamo incrociati l’altro giorno, mi abbia proposto un caffè (dato che non avevo mai nascosto la mia antipatia per lui) e del tutto incomprensibile, alla fine, è decifrare la mia scelta di accettare. Sia come sia, mi sono trovato seduto su una panchina a sorseggiare questo cazzo di caffè (lui ne aveva preso uno al ginseng) e il discorso si è spostato quasi subito sui programmi, che non dovrebbero esistere più, ma tant’è tutti gli insegnanti di tutte le materie a ogni latitudine ne sono ossessionati, e il mio collega infatti mi ha chiesto: Tu dove sei arrivato col programma?
Mi rendo conto che non volevo parlare neppure di questo.
Io volevo parlare della donna-angelo (il mio collega mi aveva detto che ai suoi ragazzi questo tema era piaciuto un sacco). Io volevo chiedere se c’è qualcuno che può dire in coscienza che a Cavalcanti fregasse qualcosa della donna-angelo.
Con Dante ci siamo, Dante che vede Beatrice nella luce di Dio, d’accordo. Ma lo Stilnovo, lasciatevi servire, lo Stilnovo è ambiguo. Il conflitto tra amore terrestre e amore celeste, è quello il tema, altro che donna-angelo. Cavalcanti e gli altri ci giocavano e Dante lo sa, lo dice perfino nel V dell’Inferno: occhio che la letteratura amorosa può portare alla perdizione; occhio, amici miei, che fate la fine di Paolo e Francesca.
Che poi chissà perché Paolo e Francesca. Francesca e Paolo semmai. È Francesca la protagonista, e che meraviglia che Dante le dia la parola, la prima Donna (o forse la seconda, toh) della letteratura italiana, fuori dagli altarini, più viva e luminosa di qualsiasi inutile angelo.
Ad ogni modo ecco, ora ci sono.
Quello che volevo dire è che lo Stilnovo con la donna-angelo non c’entra un beneamato. Agli Stilnovisti, date retta a un coglione, interessava soltanto chiavare.