Mette pioggia – di Annalisa Genziana
È stato con apprensione che mi sono approcciata a leggere “Mette pioggia” il nuovo romanzo di Gianni Tetti. Nel 2010 avevo letto il suo concept di racconti “I cani là fuori” ed ero rimasta molto sorpresa. Mi aveva stupita la compattezza narrativa e la sua consapevolezza stilistica, cosa assai rara per un allora trentenne. Temevo, quindi, qualsiasi evoluzione della sua prosa perché ritenevo che il suo esordio fosse, di per sé, già il suo ideale punto d’arrivo. Mi sbagliavo.
In questo nuovo lavoro l’ambientazione e le tematiche sono rimaste pressoché le stesse ma l’autore dimostra piena coscienza di sé e una diversa maturità. Messi da parte i fuochi d’artificio, allora, Gianni Tetti si concentra nel narrare le vicende di una piccola comunità, una comunità di una Sardegna alienata e assopita sotto il peso di uno scirocco incessante, opprimente. Una terra arsa dove non piove da mesi e in cui dilaga uno strano virus che prende alla pancia.Dietro la quotidianità di persone apparentemente normali si cela il germe di un male atavico, primigenio. Sulla testa dei protagonisti aleggia, opprimente, lo spettro di un fine imminente. È dell’apocalisse che si parla. A mio parere, l’apocalisse più sghemba e particolare della storia della letteratura contemporanea.
E insomma, Gianni Tetti è tornato con il suo stile originalissimo (a metà tra Cormac McCarthy de La strada e l’Aldo Nove di Woobinda e che, in campo cinematografico, paragonerei a Alejandro González Iñárritu… quello di Amores Perros, 21 grammi, Babel, Biutiful) per raccontare l’ultima settimana che resta all’umanità. Non credo di esagerare nel ritenere il suo romanzo da leggere assolutamente e Tetti un autore degno di grande considerazione.