Il Centro segue il viaggio di Finelli per il suo “Coi binari fra le nuvole” – La partenza

Sulmona-Carpinone. Un libro sul treno che sfiorava il cielo – di Luigi Di Fonzo

Metti una. tratta ferroviaria destinata alla chiusura come la Sulmona-Carpinone, uno scrittore promettente, una giovane e coraggiosa casa editrice; unisci gli ingredienti con quattro giorni di camminate e interviste lungo un percorso selvaggio e alla fine servi il tutto con un libro. È questa l’avventura letteraria (e anche un po’ sportiva, visto che si tratta di percorrere a piedi 120 chilometri con un dislivello di 900 metri) che il giornalista e scrittore Riccardo Finelli realizzerà per conto della Neo Edizioni di Castel di Sangro a partire da domani.

Finelli, 38 anni, emiliano sposato con una sulmontina, da anni racconta luoghi e persone. Ha pubblicato per Incontri Editrice “Storie d’Italia” (2007), “C’è· di mezzo il mare” (2008) e “150 anni dopo – Ai cinquanta all’ora sulle tracce di Garibaldi” (2010). “Coi binari fra le nuvole” è il titolo scelto per il primo libro che pubblicherà con la Neo. Un Bruce Chatwin italiano che alla Patagonia e all’Afghanistan preferisce l’Alto Sangro.

Due gli obiettivi che si prefIggono Finelli e Francesco Coscioni, quest’ultimo direttore editoriale di Neo: da un lato raccontare, con il pretesto del treno, un pezzo d’Italia inedito. «Una provincia estrema», dicono «inselvatichita e marginale, ma dalle enormi potenzialità, che ben rappresenta il paradigma di un appennino (da Savona a Reggio Calabria) drammaticamente spolpato di gente, risorse e servizi». Il secondo obiettivo è quello dì aiutare a scoprire, o riscoprire, uno dei tanti tesori che gli abruzzesi hanno ma non vedono «Tutto questo», concludono «raccontando i luoghi attraverso le storie di chi li ha vissuti».

La tabella di marcia che Riccardo Finelli si è prefIssato non è delle più semplici. Si comincia domani mattina con la partenza da Sulmona, binario 1L A direzione Carpinone. La prima sosta, dopo aver attraversato la stazione di Pettorano sul Gizio, è in programma a Campo di Giove, dopo circa 30 chilometri di camminata. Notte in un bed&breakfast, poi la domenica Finelli affronterà la parte più “dura”: i 38 chilometri necessari per raggiungere le stazioni di Roccaraso e Alfedena. Sosta e lunedì terza tappa di 26 chilometri verso Castel di Sangro, con sosta serale alla stazione di Vastogirardi in Molise. Ultima tappa martedì 24 aprile, con i circa 24 chilometri di percorso che, dopo aver superato la stazione di Pescolanciano, portano a Carpinone.

Perché questa avventura in Abruzzo?

«Perché da qualche anno ormai mi sento un po’ abruzzese d’adozione, visto che ho sposato una donna di Sulmona e spesso bazzico da quelle parti. Quella ferrovia ha sempre esercitato un fascino magnetico su di me. Quando mi sono reso conto che sta andando verso la definitiva chiusura fra la sostanziale indifferenza di amministrazioni e cittadini mi sono detto: beh, almeno proviamo a raccogliere quello che rimane e chissà che non serva anche alla causa».

Cosa le ha colpito di questo ramo di ferrovia?

«Tutto. Dai luoghi di incredibile bellezza attraversati al fascino malinconico di stazioni e case cantoniere abbandona-te, in cui ogni frattura sul muro, ogni foglio penzolante, ti raccontano un pezzetto di vita. Soprattutto però mi affascina l’idea di quel cordone ombelicale di ferro e pietra che tiene assieme due concetti così diversi come l’Abruzzo Western della Maiella e degli altipiani e Napoli».

Il treno attraversa un Parco e due regioni, tante comunità diverse. Rispetto alla chiusura della Sulmona-Carpinone ha trovato anche reazioni differenti?

«Se intende parlare di “opposizione” da parte delle amministrazioni mi viene da sorridere. In Molise una certa mobilitazione c’è stata. Ma di qua del Monte Pagano si è registrato al massimo un generico preoccupazionismo di maniera, che tradisce un diffuso disinteresse per questo autentico tesoro che qualcuno battezzò la “Transiberiana d’Italia”. Ma non chiamiamola Transiberiana per favore. Cosa c’entra l’Oriente con questo lembo di terra? Qua parliamo di West, altroché».

Cosa vuoI dire treno per uno scrittore?

«VuoI dire storie, speranze, dolori, pensieri e parole che si mescolano. Ogni volta in un vagone c’è un sedicesimo di umanità. Che ha tanto da raccontare».

Quali storie l’hanno emozionata maggiormente?

«Quelle le sto ancora raccogliendo e il viaggio che comincerà domani mi aiuterà a farlo. Però credo che una ferrovia così la raccontino soprattutto i dettagli minuti a dispetto della maestosità dei paesaggi. L’odore della colla che preparava il capostazione nell’ufficietto della stazione di San Pietro Avellana, il rumore delle stalattiti di ghiaccio che si frantumavano a terra nel buio sordo delle gallerie sotto i colpi di bastone dei manutentori, la consistenza legnosa e ruvida della tela che veniva consegnata ai ferrovieri per cucirsi la prima divisa di servizio, il colore luccicante dei pesci rossi nelle fontane di stazioncine estreme curate come sale da pranzo. Non sono solo dettagli. E tutta una vita».

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