Palace of The End – Vincenzo Sparagna
Tre monologhì teatrali straordinari, tre voci diverse che raccontano il buio del presente e del passato itakeno. I tre personaggi di questa cruda, severa, ammirevole (e benissimo tradottà da Raffaella Antonelli: c’è nel volume anche la versione originale inglese) piècè teatrale della canadese Judith Thompson sono tutti “veri” anche se reinventati.
La prima è la soldatessa americana Lynndie England, protagonista delle orrende foto sadiche nel carcere di Abu Ghraib, il secondo è David Kelly, biologo inglese che avallò il falso delle armi di distruzione di massa di Saddam pennettendo così a Bush, Blair, Aznar e Berlusconi di scatenare la loro criminale guerra in Irak, la terza è Nehrjas Al Saffarh, moglie di un dirigente comunista irakeno, torturata nel Palace of the End, il Palazzo della Fine, la prigione della polizia segreta di Saddam, protetta, come quella altrettanto crudele del dopo Saddam, dalla Cia e dagli americani. Si passa dunque dal monologo di una torturatrice il cui “lavoro” era umiliare i “terroristi”, al monologo di una vittima della polizia di Saddam dopo il suo golpe filo USA del 1968. In mezzo c’è la tragedia umana di David Kelly, morto suicida dopo aver confessato le proprie menzogne gravide di sangue.
Dei tre monologhi gli ultimi due appartengono a persone defunte, poiché Kelly si suicidò e Nehrjas Al Saffarh morì sotto le bombe americane della prima guerra del golfo. Sono comunque testimonianze totalmente immaginarie, ma costruite in modo iperrealistico, con un rigore freddo, brechtiano, che fa sanguinare il cuore proprio per la sua asettica precisione. L’americana non capisce l’orrore dei suoi atti. L’inglese awerte l’insopportabile fardello della falsità. L’irakena, che per non tradire ha visto morire suo figlio di otto anni, è sprofondata nel dolore.
Il Palazzo della Fine era un orrido inferno, mà un inferno è anche il rimorso di Kelly e un altro inferno Abu Ghraib. Tutti i personaggi della pièce, vivi e morti, dice la Thompson, sono prigionieri di questi inferni. Le loro sono grida fredde contro un cielo vuoto, ma anche un’invocazione perché torni a popolarsi di stelle.