L’AMORE NON SI CURA CON LA CITROSODINA recensito su Leggendaria.

Dietro le quinte della vita – di Maria Vittoria Vittori

Con la sua ultima raccolta poetica, Alessandra Racca ci porta a una nuova stazione del suo viaggio apparentemente svagato ma in realtà estremamente attento, attraverso i tanti sentimenti, le troppe convenzioni e le poche parole autentiche della nostra civiltà. Convinta che l’amore «è poco palcoscenico e più una roba da backstage» come dichiara nella poesia idealmente dedicata alle ragazze che vanno ai concerti e poi ci  rimangono male, Alessandra si inoltra in questo backstage con passo leggero e con sguardo appuntito e ne mostra, modulandoli in ritmi ora più densi, ora più sottilmente ironici, i risvolti più segreti. Ovvero: come ci si raggomitoli insieme fino ad inglobare elementi del partner (ma sarà tremendo, poi, staccarseli dall’interiorità quando il legittimo proprietario sarà diventato un estraneo, e difatti L’amore non si cura con la citrosodina); come i conti, in amore, non tornino mai e ci si possa ferire anche con i silenzi («Quando facciamo la guerra fredda»); ma anche come debbano essere interpretate quelle cortesi formule che certificano il disamore e l’abbandono («Quel particolare che ti sei dimenticato»). Ma l’amore non è solo quello per il partner; trovano spazio nelle poesie, affidati a minimi ironici dettagli, gli affetti familiari: un papà che non riesce ad entrare nei versi, una mamma che è un fiore abusivo.

E poi c’è l’altro grande tema del tempo, che corre carsicamente al di sotto della superficie e ogni tanto, con guizzi repentini, esce allo scoperto. Il tempo troppo carico di occupazioni di cui vorremmo alleggerirci; il tempo che vorremmo esorcizzare con la snobistica vezzosità di un termine come vintage ma – come ricorda l’impietosa Alessandra – di vintage prima o poi si muore (“Mia zia era vintage”); il tempo di cui qualcuno inevitabilmente è chiamato a farsi custode nell’andamento della vita quotidiana (“Chi custodisce il tempo”). Frustrazione e dolore sono sempre in agguato e talvolta picchiano duro, ma perfino quell’estrema voglia di andare alla deriva come un vecchio mercantile va a scontrarsi con un’invincibile attitudine allo stupore, come viene magnificamente sintetizzato (e sbeffeggiato) nella poesia “Il mercantile o il neonato”. L’autrice ha il dono, forse ricevuto per  osmosi da quella Wislawa ascoltata – «piccoletta tutta orecchie» – in un teatro, di portare leggerezza in quel pesante groviglio che talvolta appare non solo la vita ma anche l’espressività; le sue poesie che sembrano ancorate alla realtà per mezzo di quei dettagli così nitidi, sono sempre pronte a spiccare il volo verso direzioni imprevedibili.

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